Stelio Mattioni nasce a Trieste il 9 settembre 1921, dove vi ha risieduto per tutta la vita. Dopo aver compiuto gli studi superiori, fu impiegato in un’importante azienda industriale. La sua attività di narratore ebbe inizio intorno al 1960, sotto gli auspici di quello straordinario uomo di cultura e scopritore di ingegni che fu Boby Bazlen. Collaborò saltuariamente a giornali e riviste, e più spesso alla RAI, per la quale scrisse il radiodramma Il gallo canta a tutte le ore.
Con il volume “Il Sosia” vinse il Premio Settembrini-Mestre nel 1962. Fu finalista al Premio Campiello nel 1969 con Il re ne comanda una e nel 1980 con Il richiamo di Alma. È scomparso nel 1997.
Conseguito il diploma magistrale nel 1939, trova subito impiego in una delle più importanti aziende industriali cittadine dell’epoca, la raffineria Aquila. Nel febbraio del 1941 viene richiamato alle armi. Dal 1941 al 1946 è un ufficiale dell’esercito italiano in giro per l’Italia, la Jugoslavia, l’Africa settentrionale.
Nel maggio del 1942 a El-Kawit, in Tunisia, è fatto prigioniero dagli inglesi e in seguito, fino al 1946, loro ospite in un campo di concentramento a Helwan, in Egitto. Alla conclusione del conflitto, gli viene conferita la Croce al Merito di Guerra. Ritornato a Trieste, riprende il suo posto di lavoro all’Aquila, dove rimarrà fino al pensionamento, percorrendo la carriera da semplice impiegato a dirigente amministrativo. Nel 1956 pubblica un volumetto di poesie (La città perduta, Schwarz, Milano, 1956, compreso nella rosa di finalisti del Premio Firenze) che lo introduce nell’ambiente culturale triestino, aprendogli le porte del salotto artistico letterario di Anita Pittoni, allora frequentato dai triestini eccellenti degli anni Trenta ancora in vita – Giani Stuparich, Virgilio Giotti, Guido Voghera, Pier Antonio Quarantotto Gambini, Ruggero Rovan – e da “giovani promesse”, tra cui Sergio Miniussi e Claudio Grisancich.
Stelio Mattioni incomincia a scrivere nel modo più tradizionale per un autore italiano, facendo poesia e poi passando dai racconti brevi a quelli lunghi e infine al romanzo. Intensa, anche se a periodi, la sua collaborazione a giornali e riviste e alla Radio, per la quale ha scritto anche alcuni sceneggiati. Come narratore, viene scoperto da Roberto Bazlen, lettore per alcune delle maggiori case editrici italiane, a cui molti grandi scrittori, da Carlo Levi, a Montale a Italo Svevo, devono qualcosa. L’esordio avviene con il libro di racconti Il sosia (Einaudi, Torino, 1962) che in quell’anno vince il Premio Settembrini-Mestre.
La sua attività di scrittore prosegue con cinque romanzi pubblicati dalla casa editrice Adelphi, di cui Bazlen è stato uno dei fondatori: Il re ne comanda una (Adelphi, 1968) che entra nella cinquina di finalisti del Premio Selezione Campiello (in seguito tradotto in lingua tedesca con il titolo di Orlando, Commedia&Arte, Stoccarda, e in lingua francese con il titolo di La plus belle du royaume, Fayard, Parigi); Palla avvelenata (Adelphi, 1971); Vita col mare (Adelphi, 1973); La stanza dei rifiuti (Adelphi, 1976), finalista al Premio Scanno; Il richiamo di Alma (Adelphi, 1980), compreso nella cinquina di finalisti al Premio Selezione Campiello (in seguito tradotto in lingua francese con il titolo di Les métamorphoses d’Alma, Fayard, Parigi).
La lettura dei romanzi di Mattioni è l’ingombro della coscienza. Molti sono i rivoli in cui va a esprimersi la sua scrittura, tuttavia occorre segnalare un tema ricorrente, quello dell’ineluttabilità di quel che è, incapace di mutare, per sé e per gli altri. I suoi personaggi appartengono al vortice rarefatto – ma nello stesso tempo tangibile – del quotidiano da cui scaturisce il malessere, non nel senso di un “male di vivere” ma dell’invenzione di una catarsi che deborda la realtà e pervade ogni azione, ogni comportamento. Le sue pagine riconducono alla tradizione letteraria triestina, quella del narratore attento e assorto, alimentato da tutte quelle culture incrociate che per anni hanno fatto della città uno dei poli culturali europei più vivi. La sua opera è un cammino dal particolare all’universale, somiglia alla realtà – e al suo dolore – ma nello stesso tempo moltiplica e deforma l’immagine che vuole rappresentare. La sua è una scrittura senza narratore, perché riesce a mettere un libro nel vissuto di ciascuno. Con i suoi primi cinque romanzi, lo scrittore triestino riesce a imporsi all’attenzione della critica nazionale. Dei suoi libri, infatti, hanno scritto molti importanti critici: Raboni, Ferretti, Camerino, Milano, Pedullà, Barberi Squarotti, Gramigna, Spagnoletti, Falqui, Maier, Lisiani, Marcenaro ecc. Morto Bazlen, i rapporti con l’Adelphi si allentano e Mattioni pubblica con un’altra casa editrice altri quattro romanzi: Dove (Spirali, Milano, 1984), Il corpo (Spirali, Milano, 1985); Sisina e il Lupo (Spirali, Milano, 1993); Il mondo di Celso (Spirali, Milano, 1995). Pubblica inoltre una Storia di Umberto Saba (Camunia, 1989) frutto di una serie di incontri con persone vicine al poeta e di una raccolta di notizie iniziata negli anni Sessanta e Trieste Variété. Libro degli sberleffi (B&MM Fachin Trieste, 1990), storia del varietà a Trieste dagli anni venti al dopoguerra.
Ha partecipato attivamente alla vita culturale di Trieste come segretario del Circolo della Cultura e delle Arti (dal 1980 al 1985). Ha organizzato per il Comune le celebrazioni di Svevo (nel 1978), Joyce (nel 1982), Saba (nel 1983) e Giotti (nel 1985). E’ stato per alcuni anni responsabile di una televisione privata (Telequattro) e presidente dell’Associazione teatrale dialettale Armonia.
Stelio Mattioni muore a Trieste il 16 settembre 1997. Postumo, è stato pubblicato il romanzo Tululù (Adelphi, Milano, 2002). Lascia diversi scritti inediti.